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La storia del mese: Lidia e la casa dei bambini

A Trujillo Lidia e Juan hanno trasformato la loro casa nella sede di un club de madres, aprendo le porte ai bambini del distretto di Esperança. Per lottare dal basso contro la povertà, come altre decine di mamme peruviane. Di Marianna Sassano

La casa della señora Lidia è diversa da tutte le altre. Da fuori non si direbbe: la forma a parallelepipedo, col tetto piatto, le inferriate alle finestre, la strada di sabbia che scorre senza asfalto, fanno assomigliare l’una all’altra tutte le abitazioni di Esperança, nella periferia di Trujillo, in Perù. Ma quando Lidia apre la porta, un mondo nuovo prende vita: nel suo patio, rampicanti, fiori, piante di ogni genere; un pappagallo la chiama gridando vivace dalla sua piccola giungla personale; e poi, più in là, in fondo al giardino, un orto allegramente disordinato, e un recinto per il maiale che grugnisce accogliente alla vista dei visitatori. Dentro, la casa di Lidia è un’esposizione meticolosa di bambole, centrini, bomboniere, fotografie, ninnoli, oggettini: il mondo di Lidia, e di su querido esposo Juan, è un mondo alla ricerca della bellezza, ostinatamente contro la rassegnazione alla tristezza che fa spesso da compagna alle situazioni di povertà.

La casa di Lidia e Juan è una casa speciale, e non solo perché si riscatta dalla grigia normalità della periferia: la casa di Lidia e Juan è la sede del club de madres “El buen socorro”. Alle pareti del cortile interno, festoni e cartelloni con disegni, figure, e qualche regola (lavarsi le mani prima di mangiare, essere ubbidienti) ci raccontano che questo è un luogo di bambini. Sotto alla frescura del pergolato, una serie di tavole e sedie ora vuote (i bambini hanno mangiato e se ne sono andati) sono già state pulite e rimesse in ordine per l’indomani.

“Ti ricordi, Simone, quando abbiamo aperto il club? Non c’era nessuno. Le mamme non ci portavano i loro figli perché avevano paura si facesse la tratta degli organi”. È stato difficile radicare l’idea che un’organizzazione dal basso, senza altro scopo se non quello di condividere le fatiche per alleggerire le vite di tutti, fosse davvero qualcosa di disinteressato. Ma ci sono riusciti. Il club di Lidia accoglie da ormai molto tempo i bambini di Esperança, che qui trovano un pasto cado al giorno, il posto per fare i compiti, le maestre per le ripetizioni. In questo luogo, così come in innumerevoli altri club fortunatamente disseminati in tutta Trujillo, le mamme si danno il turno per cucinare, lavare i piatti e fare assistenza ai bambini, abbattendo in questo modo i costi di gestione. Il Cesvitem, attraverso il progetto di sostegno a distanza Pininos, passa il contributo necessario per coprire la quota degli alimenti, e garantisce i controlli medici, ma tutto il resto è affidato alla responsabilità delle madri.

Non è solo buonsenso: è una vera e propria necessità, che tiene conto della situazione della stragrande maggioranza delle mamme, spesso lasciate sole da uomini inseminatori, dittatori della cultura del machismo, e perciò costrette a lavorare, badare ai figli, mettere insieme un pranzo e una cena. Tutto da sole. I club scardinano la logica dell’ “affari tuoi”: non per buonismo, ma perché una situazione così diffusa non poteva non essere risolta collettivamente. E allora le mamme si sono mosse. Si sono organizzate. Si sono unite.

Certo, non è sempre e solo idillio. I problemi di convivenza e organizzazione ci sono. Ma i club continuano ad essere l’ossatura fondamentale di un welfare sotterraneo che permette una vita dignitosa a tantissimi bambini e che aiuta le madri a sentirsi comunità. E, forse, chissà, un’altra conseguenza positiva potrebbe anche esserci: magari, grazie a tutto ciò, tante case a Trujillo apparentemente anonime nascondono colore, calore e allegria. Come la casa di Lidia e Juan: che ci fanno accomodare nel salone, spostano il centrino dalle casse, inseriscono nel lettore un cd di Marinere a tutto volume; e poi ci invitano a ballare.

Notizia del 22/04/2010


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