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Dossier Immigrazione 2011, insieme oltre la crisi
Secondo Caritas e Fondazione Migrantes gli stranieri regolari rappresentano il 7,5% della popolazione italiana. Un presenza ormai strutturale e fondamentale per il nostro futuro, anche a livello economico.
Nel 1991 Caritas e Fondazione Migrantes pubblicavano per la prima volta il Dossier Statistico sull’Immigrazione. All’epoca gli stranieri residenti nel nostro paese erano 625 mila, poco più dell’1% della popolazione. La fotografia scattata dalla ventunesima edizione del Dossier, presentata lo scorso 27 ottobre, è completamente diversa. Oggi gli stranieri sono 4,6 milioni, il 7,5% della popolazione. Sta tutta in queste scarne cifre la repentina trasformazione dell’Italia in un grande paese d’immigrazione. Un’evoluzione che il nostro paese stenta a metabolizzare, proprio per la forte accelerazione che questo fenomeno ha vissuto negli ultimi vent’anni. E non è finita. Secondo le l’Istat, a metà secolo gli stranieri potrebbero superare i 12 milioni. In questo contesto, sottolineano i curatori del Dossier, “più che opporsi alla loro presenza, bisogna invece interrogarsi sulle modalità più consone per accompagnarla”.
L’edizione 2011 del Dossier è intitolata “Oltre la crisi, insieme”. Un modo per sottolineare come la crisi economica abbia colpito duramente la popolazione straniera (684 mila permessi di soggiorno non rinnovati nel 2010, di cui due terzi per la perdita del lavoro). Ma anche che senza il contributo degli immigrati difficilmente se ne potrà uscire: senza l’immigrazione “fin dagli anni ‘90, si sarebbe determinata la diminuzione della popolazione, degli occupati e del Pil”. È arcinoto, ad esempio, che la popolazione italiana sia soggetta ad un processo di veloce invecchiamento. Dal 2000 al 2010 gli ultra 65enni sono aumentati di 1,8 milioni, i residente di 0-14 anni appena di 348 mila. Tra gli immigrati il quadro si ribalta: il 79% è in età lavorativa, mentre gli ultra sessantacinquenni sono appena il 2%. Senza di loro, dunque, saremmo molto più vecchi, con tutta una serie di conseguenze negative. A partire dal livello economico.
Anche in una fase di stagnazione e di crescita della disoccupazione, infatti, il ruolo della forza lavoro straniera non perde d’importanza, anzi. I 2 milioni di lavoratori stranieri rappresentano un decimo della forza lavoro complessiva e producono l'11% del Pil. Essendo mediamente più giovani e più lontani dal pensionamento rispetto agli italiani, contribuiscono all’equilibrio del sistema pensionistico, versando annualmente 7,5 milioni di contributi previdenziali. Oltre a ciò, la forza lavoro immigrata “assicura una maggiore flessibilità territoriale, è disponibile a inserirsi in tutti i settori lavorativi, anche i meno qualificati, crea autonomamente occupazione con i suoi 228.540 piccoli imprenditori, si occupa dell’assistenza delle famiglie e degli anziani”.
In un paese ormai strutturalmente multiculturale (basti pensare ai 650 mila minori nati in Italia da genitori stranerie) suonano fuori posto “i demagogici e continui richiami alla tolleranza zero”. I flussi “naturalmente necessitano di una regolamentazione, ma si sbaglia a ritenere determinanti le norme di contrasto. Queste continuano a mostrare un’efficacia limitata, a comportare costi eccessivi e a essere esposte a eventi imprevisti, come si è constatato in Nord Africa all’inizio del 2011”. La politica dei respingimenti e dei Centri di identificazione ed espulsione si sta rivelando inefficiente (nel 2010 dei 7.039 migranti transitati per i Cie nemmeno la metà è stata rimpatriata) e costosa: ogni singola espulsione costa fino a 10 mila euro. Al contrario il saldo tra i versamenti degli immigrati regolari all’erario e le spese pubbliche sostenute a loro favore è ampiamente positivo: 1,5 miliardi secondo le stime più prudenti. La vera chiave di volta, dunque, resta una seria e coraggiosa politica dell’integrazione, che passi anche per una revisione delle regole per i permessi di soggiorno, dei ricongiungimenti familiari, della cittadinanza.
Notizia del 02/11/2011