Approfondimenti
L'accesso all'acqua è (finalmente) un diritto umano
Dopo 15 anni di dibattiti, una risoluzione delle Nazioni Unite riconosce il diritto all'acqua e all'igiene come un diritto fondamentale. Una goccia di speranza in un mare di sete
L'accesso all'acqua potabile è un diritto umano. Lo ha stabilito il 28 luglio l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, approvando con 122 voti a favore, 41 astenuti e nessun contrario una risoluzione presentata dal governo della Bolivia. Un documento intitolato "Il diritto umano all'acqua e all'igiene" nel quale si afferma esplicitamente che "l'accesso a un'acqua potabile pulita e di qualità, e a installazioni sanitarie di base, è un diritto dell'uomo, indispensabile per il godimento pieno della vita e degli altri diritti umani". Pur trattandosi di una risoluzione politica, e quindi non vincolante, la sua approvazione è un passaggio storico, che mette fine a oltre 15 anni di dibattiti, dando un riconoscimento all’impegno di migliaia di organizzazioni di tutto il mondo per il riconoscimento del diritto all’acqua e riportando al centro dell’attenzione un tema fondamentale per il futuro del mondo.
È lo stesso testo approvato dall’Assemblea Generale a ricordare, con “profonda preoccupazione”, i drammatici numeri della sete nel mondo: 884 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, 2,6 miliardi di persone (il 40% dell’umanità) che non godono di servizi sanitari di base. Senza dimenticare che ogni anno un milione e mezzo di bambini sotto i cinque anni muore per malattie legate alla carenza d'acqua o di strutture igieniche e che, secondo un rapporto di UN Habitat, l’agenzia delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, in Africa il 50% dei posti letto ospedalieri è occupato da pazienti che hanno contratto malattie causate da acqua insalubre, come colera, dissenteria, tifo o malaria.
Per questo la risoluzione chiede ai paesi membri e alle organizzazioni internazionali di adoperarsi per fornire aiuti finanziari e tecnologici ai Paesi in via di sviluppo, esortandoli ad "aumentare gli sforzi affinché tutti nel mondo abbiano accesso all'acqua pulita e a installazioni mediche di base", tenendo nella giusta considerazione i costi affrontabili dagli utenti finali.
“Il riconoscimento dell’acqua come diritto umano - sottolinea Guido Barbera, presidente di Solidarietà e Cooperazione Cipsi - è un segnale politico ed istituzionale molto importante, ma è solo il primo passo di un lungo cammino. Un percorso che deve portare all’attuazione concreta di tutti i diritti umani per tutte le persone del mondo: i diritti fondamentali non possono e non devono rimanere solo sulla carta”.
“Ora c’è bisogno di precise assunzioni di responsabilità e di coerenza - continua Barbera -. Chi vota, come l’Italia ha fatto, per il riconoscimento del diritto all’acqua, lo deve garantire in primo luogo nel proprio paese. Non si può riconoscere l’acqua come diritto universale e allo stesso tempo procedere a ‘privatizzarne’ la gestione e la distribuzione, negando dunque di fatto tale diritto ai propri cittadini. Il riconoscimento dei diritti umani è un obiettivo che deve guidare la politica a tutti i livelli, da quella locale a quella internazionale, dalla famiglia al quartiere, dalla scuola ai posti di lavoro, dalle nostre città fino alle Nazioni Unite. Non si tratta solo di ‘valori’ da contemplare!”.
Notizia del 03/08/2010