La speranza oltre la frontiera
Ogni anno decine di migliaia di mozambicani cercano fortuna in Sudafrica, scontrandosi spesso con una realtà lontana dai sogni. Di Figueiredo Rosario
Maputo, sede del Cesvitem Mozambico. Riunione dei coordinatori dei progetti di sostegno a distanza. Nelson, il responsabile di Esperança, mi consegna la lista dei beneficiari usciti dal progetto, per informare i rispettivi sostenitori in Italia e provvedere ad una proposta di sostituzione. Scorro l’elenco e mi balza all’occhio come anche questa volta ci siano cinque ragazzini che non lasciano solo Esperança, ma il Mozambico. Fernando, Sergio Josè, Gilda, Simone e Florinda si stanno per trasferire con le loro rispettive famiglie in Sudafrica. “A sua esperança está lá” mi dice Nelson. Ha ragione: la loro speranza è lì. Una speranza spesso illusoria, basata su un progetto migratorio senza fondamento e che, molto probabilmente, si concluderà con un mesto ritorno in Mozambico.
D’altronde la speranza, vista da Maputo, è distante solo cento chilometri. Meno di due ore di viaggio verso nordovest, verso Ressano Garcia, il valico di frontiera con il Sudafrica. L’eldorado è lì a due passi. Sono tanti, tantissimi i mozambicani che ogni anno passano per Ressano Garcia. In Sudafrica ne vivono ufficialmente poco più di 150 mila, ma è difficile stimare quanti siano gli “indocumentados”, gli immigrati illegali. D’altronde il nostro è un popolo abituato a spostarsi. Quando, ad esempio, nel 1992, si concluse la guerra civile, sei milioni di persone non vivevano a casa loro. Oggi 1,2 milioni di mozambicani, il 5% della popolazione, vive all’estero. La parte del leone, come detto, la fa il Sudafrica. Nei primi anni ’60 c’erano oltre centomila mozambicani impiegati nelle miniere sudafricane. E ancor oggi sono oltre 50 mila. Questi sono i più fortunati, arrivano a guadagnare 2000 rand al mese, 200 euro. Tutti gli altri devono accontentarsi di molto meno, a partire dagli irregolari: quando va bene, guadagnano un’ottantina di euro al mese raccogliendo arance o tagliando canna da zucchero nelle grandi fattorie sudafricane.
Questo è solo uno dei lati oscuri dell’immigrazione mozambicana in Sudafrica. Un altro è la xenofobia. Il miracolo sognato dopo la fine dell’apartheid è rimasto in gran parte sulla carta: dati come quello sulla disoccupazione (che sfiora il 25%) testimoniano di enormi sacche di povertà. Tanto basta per scatenare una guerra tra poveri, tensioni latenti che periodicamente esplodono in feroci violenze contro gli stranieri, mozambicani in testa, accusati (tutto il mondo è paese) di rubare il lavoro ai sudafricani. Solo tre anni fa 62 immigrati vennero assassinati, 200 mila rimasero senza casa e almeno 20 mila mozambicani tornarono in fretta e furia in patria. C’è poi il problema dell’Aids. Nel sistema industriale sudafricano, il settore minerario è quello i cui lavoratori presentano i più alti tassi di sieropositività. E numerose ricerche hanno dimostrato come in Mozambico la diffusione dell’HIV sia più forte proprio nei distretti che tradizionalmente rappresentano una riserva di manodopera per le miniere sudafricane. Infine, anche al di là del caso Sudafrica, l’emigrazione è una pesante ipoteca sul futuro del nostro paese. Per capirlo basta un dato: il 45% dei laureati mozambicani vive all’estero, con punte del 75% tra i laureati in medicina. Paradossalmente è molto più facile trovare un medico mozambicano in Portogallo che in Mozambico.
Riguardo l'elenco di Nelson. Nomi, bambini, famiglie in cerca di una vita migliore. Buona fortuna Fernando, Sergio Josè, Gilda, Simone e Florinda. Spero di cuore che la vostra “esperança” non si fermi a Ressano Garcia.
L'articolo completo nel prossimo numero del Girotondo.
Notizia del 25/05/2011