Basta strumentalizzare la povertà in tv!
La Rai sta organizzando "The Mission", un reality-show che vedrà alcuni vip, da Al Bano a Emanuele Filiberto, vivere per dieci giorni in un campo profughi nel Sud Sudan. Un pietismo umanitario di cui non si sente proprio il bisogno.
C’è chi, senza mezzi termini, parla di “pornografia umanitaria”. Un commento pesante, ma è difficile non farlo davanti alla notizia che RaiUno sta organizzando un reality show umanitario intitolato “The Mission”, in cui personaggi famosi lavoreranno, in situazioni estreme e disagiate, fianco a fianco agli operatori umanitari nei campi profughi in Giordania e Sud Sudan. Gli obiettivi sono quelli di sensibilizzare il grande pubblico sul dramma dei rifugiati e di aumentare il fundraising per finanziare i progetti di emergenza in varie parti del mondo.
Guido Barbera, presidente di Solidarietà e Cooperazione Cipsi (coordinamento di 40 associazioni di solidarietà e cooperazione, tra cui il Cesvitem) dichiara: “Non si può continuare a strumentalizzare la povertà per raccogliere fondi con un reality show e la partecipazione di vip. Non si risolvono i problemi e le emergenze in questo modo. C’è una tendenza nel mondo delle organizzazioni internazionali, alla luce della crisi dei finanziamenti pubblici, a ricorrere a tutti i mezzi possibili pur di raccogliere fondi e risorse finanziarie. I rifugiati, le realtà durissime del Sud Sudan, i bambini, le donne, le violenze o le miserie di ogni genere, non possono essere oggetto di spettacolo e di pietismo umanitario, al limite della pornografia umanitaria. La dura realtà in cui vivono quotidianamente centinaia di milioni di persone, non può essere presentata con un gioco”.
Al programma, che gode della collaborazione dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, è stata confermata la partecipazione, tra gli altri, di Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Al Bano Carrisi, Paola Barale ed Emanuele Filiberto. Nessuna spettacolarizzazione e nessuna logica da Grande Fratello, assicurano dall’Unhcr. Ma visto il format e i personaggi coinvolti, il rischio di deragliare sembra dietro l’angolo, alimentando una visione della cooperazione, del Sud del mondo e della povertà da cui da anni si cerca di uscire.
“Siamo sbigottiti - prosegue Barbera - e non possiamo concordare con questa politica e questi strumenti: siamo convinti che attraverso l’intrattenimento televisivo sia possibile raccontare temi seri e delicati come quelli dei rifugiati, delle miserie e dei conflitti, ma non attraverso questo genere di format e di spettacolarizzazione gratuita. Ci dispiace che la televisione pubblica non riesca ad essere, anche in questo ambito, servizio pubblico. Ci dispiace che l’assenza di serie politiche e di vera cooperazione, porti a pensare soluzioni di questo tipo. I rifugiati rischiano di finire a fare da sfondo a semplici performance patetiche, paternaliste e buoniste dei vip. E poi c’è il tema etico della pubblicità: quali sono i ricavi stimati dalla Rai per la vendita di spazi pubblicitari durante questo reality?”.
“I problemi dell’umanità in genere, dei rifugiati in particolare, non si risolvono e non si possono affrontare vivendo “per 10 giorni tra i rifugiati del Sudan, cantando assieme a loro per cercare di aiutarli”, come afferma il pur bravo cantante Al Bano. Abbiamo bisogno di cooperazione, di solidarietà, di nuovi stili di vita ed impegni coerenti, non solo di emotività pietistica che scarica la coscienza con qualche euro. Chiediamo subito al Consiglio di Amministrazione Rai e alla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai di intervenire, di invertire rotta. Uscite dai vecchi schemi, investite su una comunicazione sociale che favorisca il cambiamento culturale e di comportamenti. La carità non è elemosina”.
Notizia del 31/07/2013