Perù, la diaspora di un popolo
Il 10% dei peruviani vive all’estero, il 74% sogna di andarci: è il frutto di un’economia che crea ricchezza senza distribuirla. Di Attilio Salviato
C’è un proverbio, in Perù, che recita “por mi mejoria, mi casa dejaria”. Tradotto significa pressappoco “per vivere meglio, sarei disposto anche a lasciare casa mia”. Non è solo un modo di dire. Quello peruviano è, storicamente, uno dei popoli più migranti del mondo. Di immigrati e di emigranti. Per secoli questo paese ha accolto milioni di persone in cerca di fortuna. Negli ultimi decenni, invece, la strada si è invertita: oggi sono i peruviani ad andarsene, a cercare fortuna nel mondo. Secondo le ultime stime, vivono all’estero 3,2 milioni di peruviani, l’11% della popolazione. Per capire questo fenomeno occorre, innanzitutto, guardare le statistiche. Che ci dicono che dal 2000 al 2009 sono emigrati ben 1,9 milioni di peruviani, pari al 60% dei flussi migratori degli ultimi ottant’anni. Un fenomeno dunque recente e sempre più massiccio: secondo un’indagine realizzata pochi anni fa, il 74% dei peruviani vorrebbe emigrare.
Perché così tanti peruviani abbandonano il loro paese? Guardando le serie storiche, balza agli occhi un dato apparentemente paradossale: l’aumento dei flussi è andato di pari passo con la crescita dell’economia. Negli anni Novanta, gli anni del presidente-dittatore Fujimori e dell’iperinflazione, emigrarono in media 50 mila peruviani all’anno. Negli anni della presidenza di Alan Garcia (2006-2010), gli anni del boom economico e del Pil che cresce al ritmo del 6% annuo, si è arrivati a oltre 300 mila nuovi migranti all’anno. Ma come, più si sta meglio, più la gente se ne va? Il problema è proprio questo. I peruviani non stanno meglio, anzi. Il Perù presenta uno dei più alti tassi al mondo di diseguaglianza interna, una spaccatura netta tra una piccola elite estremamente ricca e una massa popolare estremamente povera. La ricchezza negli ultimi anni è cresciuta, ma non è stata distribuita. Anzi, si è accumulata nella mani di pochi. La gente, di fronte a questa situazione, è stanca, disillusa, insoddisfatta.
Ma per capire davvero come funzionano le cose bisogna fare un passo indietro e notare come alla massiccia emigrazione verso l’estero corrispondono altrettanti massicci flussi migratori interni. Migliaia e migliaia di persone che ogni anno si spostano dalle regioni meno ospitali della Sierra e della Selva verso le grandi città della costa: la capitale Lima prima di tutto, ma anche la “nostra” Trujillo, capoluogo del nord del Perù.
È questo il primo passo, il passaggio necessario prima di spiccare il grande salto verso l’estero: dei peruviani che vivono in giro per il mondo, ben il 91% è partito dalle zone urbane. Dalla campagna non si va all’estero, prima si cerca fortuna in città. La diaspora peruviana nel mondo nasce, giorno dopo giorno, proprio dalle periferie delle grandi città, dalle desolate invasiones, i quartieri che nascono dal nulla, senza pianificazione, con l’occupazione abusiva di lotti di terreno da parte delle famiglie più povere. Una spirale che si autoalimenta di continuo. Nuove famiglie che arrivano dalle campagne. Altre che a poco a poco si stabilizzano. E altre, che persa ogni speranza anche in città, se ne vanno all’estero. Perché “por mi mejoria, mi casa dejaria”.
L'articolo completo nel prossimo numero del Girotondo.
Notizia del 25/05/2011